Scene del cambiamento sociale

Scene del cambiamento sociale

Legnano e l’italia, 1943-2018 – di Giorgio Vecchio

La fabbrica, la strada, la bicicletta

Quando nella primavera del 1945 termina finalmente in Europa la II guerra mondiale, il panorama di Legnano – miracolosamente rimasto intatto – è ben definito e tale resterà ancora per anni: una città industriale e operaia, con un centro storico dominato dalla presenza fisica delle grandi fabbriche: la Tosi, la De Angeli Frua (quella situata nel famoso “Castellaccio” lungo corso Italia), la Manifattura, la Cantoni, la Dell’Acqua, e poi ancora, un poco più ai margini, la Bernocchi, l’Agosti… È una tradizione solida, quella dell’industria legnanese, che ha radici che affondano nel secolo precedente e che paiono intangibili.

La presenza della fabbrica incombe ovunque: vista dall’esterno può apparire persino un po’ inquietante, con i monotoni lunghi muri che delimitano per intero alcune strade, come in via Alberto da Giussano o in via Concordia (oggi via De Gasperi). È la città che quasi deve chiedere scusa alla fabbrica e timidamente cercare un varco per i suoi abitanti. Però la fabbrica sa pure essere rassicurante: la fabbrica – a cominciare dalla Franco Tosi – non è estranea alla città. Non è ferrigna e matrigna, è mamma: essa dà la certezza del lavoro. Essere assunto – come operaio, impiegato o tecnico – significa stipulare una polizza per la vita, continuando il lavoro di papà e anticipando quello del figlio che verrà.

Nella fabbrica c’è un mondo che pulsa di vita propria e che a ondate si riversa per le vie di Legnano. Suonano le sirene di fine turno, a centinaia escono le tute blu per recarsi alle mense aziendali. Occupano l’intera strada, attraversano a gruppi, chi affaticato e taciturno, chi chiacchierando, chi facendo una battuta. Parlano di politica o di donne? O dei problemi della propria famiglia? Altri pedalano con calma energica: per loro c’è la possibilità di pranzare a casa o di rimanervi, dopo aver completato il proprio turno. Sono biciclette pesanti, nere o grigie, senza cambio.

Assomigliano ad altre bici, quelle inforcate dalle donne che, ancora con il grembiule nero o blu, corrono veloci verso le scuole elementari (sono quattro: le De Amicis, le Mazzini, le Carducci e le Cantù, ben distribuite nei quartieri tradizionali e più popolosi) per recuperare i loro bambini. La bicicletta è la padrona della strada, a Legnano e in tutta Italia. Solo a metà degli anni Cinquanta Valletta avvierà il progetto di dotare anche le classi popolari di un’automobile: saranno la Seicento e poi la Cinquecento a dare il la alla motorizzazione di massa, mentre la Fiat stessa spingerà la classe politica a privilegiare la costruzione delle autostrade rispetto alla ferrovia. Scelta incauta, possiamo dire oggi: già, ma in quella povera Italia chi mai poteva porsi un problema del genere?

La bicicletta, del resto, è importante per Legnano: la squadra omonima, con le maglie verdi (ramarro prima, oliva poi) e con il marchio con l’Alberto da Giussano ha già vinto tanto, prima con Ginettaccio Bartali e poi anche con il giovane Fausto Coppi. Legnano è famosa anche per quello. La città ama le sue fabbriche-mamma, magari le odia pure per la fatica cui costringono e per un’urbanistica tutta particolare. Ma non può esimersi dal porsi al servizio. La stessa Istruzione superiore è tutta rivolta verso di loro: il Dell’Acqua e il Bernocchi, già nel nome richiamano la loro funzione, che è quella di preparare i ragazzi all’inserimento professionale. E così il Liceo è l’ultimo arrivato, inizialmente addirittura come una mera dépendance del Vittorio Veneto di Milano, una scelta forzata dovuta all’incombere della guerra. È il 1944. Ovviamente si tratta di un Liceo Scientifico: a chi mai potrà servire il Classico nella Legnano dell’industria?

Per tutti gli anni Cinquanta la città rimane grigia, pure brutta – tale appare a chi vi arriva dal di fuori -, in una sorta di dignità operosa, sì, ma dimessa e priva di ostentazione. Ci sono addirittura case puntellate, come se fosse passato un terremoto: in via del Gigante gigantesche travi tengono su l’una con l’altra le facciate di vecchie case tremolanti. Malmessi sono pure gli edifici attorno alla chiesetta di Sant’Ambrogio. La casa operaia, tipica di queste parti, è onnipresente, con i suoi tre o quattro piani e i lunghi ballatoi interni, che danno sul cortile polveroso: le case “a ringhiera”, appunto. Intere aree cittadine sono dominate dalle abitazioni fatte costruire, tanto per cambiare, dalle aziende: le case Cantoni, Brusadelli o i “villini” rossi per gli impiegati della Tosi

Sono poveri gli oratori, luogo di raccolta per eccellenza di tutti i ragazzi e i giovani, anche di quasi tutti quelli che vengono da famiglie “rosse”. Talvolta, come a San Domenico, sono ricavati attraverso progressivi acquisti di case lasciate libere, con locali che oggi nessun genitore vorrebbe veder frequentati dai propri figli. Per le strade ci sono poche auto, tante bici e, ancora per un po’, il vecchio tram marrone che arriva da Milano e prosegue per Gallarate. Anche dopo la cessazione del servizio, a lungo le rotaie rimarranno a marcare il centro, dal Sempione su fino a via Micca. Dilaga la rivalità tra lambrettisti e vespisti, che si sono emancipati dalla fatica del pedalare e che possono portare a spasso la famiglia sulle due ruote o gareggiare tra loro nell’eterna conquista delle ragazze.

E ci sono ancora i cavalli con i loro carri, come quello stracolmo di oggetti portato in giro dall’ultimo venditore ambulante. In strada passano anche gli arrotini e gli strascée, giocano i bambini, ci si muove con le borse della spesa. Ovunque si trovano i negozi dei panettieri, ortolani, salumieri, macellai, droghieri. E anche il mercato settimanale si organizza in pieno centro. La Fiera dei Morti o i circhi di passaggio addirittura occupano piazza Trento e Trieste, davanti alle scuole elementari Mazzini. Quanto alla spesa, tantissimi la fanno negli spacci aziendali. La Dell’Acqua vende i suoi tessuti in un grande spazio lungo la via Gilardelli, la Tosi ha addirittura un’organizzata cooperativa in via XXIX Maggio. Lì si compra con apposite monete, ottenute all’ingresso in cambio delle lire ufficiali. La lunga fila di banconi di marmo vede allineati il panettiere, il droghiere, il salumiere, il macellaio, il fruttivendolo… Tutto si vende sfuso, dalla pasta alla farina, allo zucchero. Vassoietti e plastica da imballaggio semplicemente non esistono.

I bambini giocano con la palla, con le biglie o raccolgono le figurine. Figurine strane: non c’è ancora la moda di collezionare i calciatori, così ci si butta sulle figurine istruttive, che parlano di geografia, di costumi, di storia (incredibile la raccolta del 1961 con le figurine del Risorgimento e dell’Unità d’Italia), o di come sarà il mondo nel Duemila. Ma chi arriverà così lontano? Il Duemila, roba da fantascienza! Accanto alle figurine si raccolgono i francobolli, vero e proprio strumento di conoscenza del mondo; poi si gioca con i soldatini o con auto, camion e anche carri armati di latta; con il tempo i più fortunati possono farsi regalare i modellini della Dinky Toys o della italiana Mercury, per non parlare della più progredita Corgi Toys. Le bambine sono attratte dalle bambole di ogni foggia, spesso povere e malvestite come le loro proprietarie. Non mancano poi le cucine per giocare, con pentole o piatti in miniatura. Punto di riferimento per sognare è il negozio della vedova Legnani, in corso Garibaldi. Ci si può però accontentare con meno: le confezioni di diffusi detersivi come Tide o Vel contengono la sorpresa di un piccolo giocattolo.

Questa Legnano in grigio corrisponde pienamente all’Italia: un paese devastato da una guerra proclamata e persa nel peggiore dei modi, occupata da soldati di ogni parte del mondo, traumatizzata per i tanti morti, i mutilati, i prigionieri, le famiglie divise, l’odio diffuso. Un paese che si illude (permanente male nazionale, questo!) sulla propria carica di simpatia e sulla benevolenza dello straniero; un paese che a lungo sopravvive soltanto grazie agli aiuti degli Stati Uniti e che è umiliato da un pesante trattato di pace. Per anni si vive in povertà, anche se non difettano gli arricchiti grazie alle speculazioni e al mercato nero: l’inchiesta parlamentare del 1952 rilascia un’immagine da paura, con migliaia e migliaia di famiglie che possono mangiare solo pane e verdure; o che vivono in baracche, in tuguri, in grotte perfino. L’Italia è spaccata anche a causa della guerra fredda, con la Chiesa e il Partito Comunista che si fronteggiano pronti a tutto. Ci si accusa a vicenda di non essere italiani, bensì servi dello straniero: ma è solo l’eredità dello schema fascista, in base al quale chi non è con Mussolini non è degno dell’Italia.

Peraltro uno stile sobrio e dimesso di vita accomuna l’intera classe politica: dal democristiano Alcide De Gasperi al comunista Palmiro Togliatti, dal socialista Pietro Nenni al liberale Luigi Einaudi. La contrapposizione dura a lungo, talvolta con episodi drammatici, talvolta invece con risvolti tragicomici. I principali attori dello scontro, però, non si accorgono che sotto la crosta esteriore il paese sta cambiando. Ci si vuole distrarre, si vuole sperare in un mondo migliore, in un benessere più diffuso. Ci si rimbocca le maniche, si costruisce con pazienza e si sogna, magari a buon mercato: Due soldi di speranza, come recita un film del 1952. E così la gallina dello scontro di civiltà politico-ideologico cova in realtà l’uovo del sognato consumismo.

La televisione, il boom, l’edilizia

Quando, il 3 gennaio 1954, la RAI inizia a trasmettere regolarmente i suoi programmi televisivi, su un unico canale, in bianco e nero e per poche ore al giorno, ben pochi legnanesi possono permettersi l’acquisto del magico apparecchio. Come nel resto d’Italia, però, il numero cresce subito rapidamente, sia perché si è disposti a qualunque sacrificio per l’acquisto di un televisore, sia perché i prezzi scendono con altrettanta velocità. In assenza dei megastore odierni, si va dal negoziante di fiducia e a Legnano sono tanti gli esercizi commerciali che espongono in bella vista il nuovo prodotto: in corso Garibaldi, Finetto attira i clienti con i marchi Philips e CGE o con le consuete radio Marelli.

Carosello e alcune pubblicità di successo

Il nuovo mezzo – di cui quasi nessuno comprende l’efficacia comunicativa e le conseguenze culturali, sociali e politiche – impone nuovi divi, come quelli creati da Lascia o raddoppia, Il Musichiere o Campanile Sera, che con Carosello affascinano milioni di italiani. E, se non si possiede la tv, si va al bar, all’oratorio, alla sede dell’ANPI o ai circoli di partito o finanche al cinema, dove il giovedì sera i gestori mettono a disposizione l’apparecchio per vedere Lascia o raddoppia con Mike Bongiorno e non perdere così clienti. Fin dagli esordi non manca naturalmente La domenica sportiva. Non manca chi intanto cerca di dare un’impronta culturale: nel 1956, per esempio, nasce a Legnano il Cineforum, poi intitolato a Marco Pensotti Bruni. La televisione, veramente servizio pubblico (specie con Alberto Manzi che con Non è mai troppo tardi si rivolge agli analfabeti e ai semi-alfabeti), contribuisce ad accelerare un cambiamento di mentalità e di costumi che si è già avviato.

Proprio nel decennio 1951-1961 l’Italia si trasforma da paese agricolo in paese industriale e i costumi cambiano perché si vuole diventare come l’America: nel 1954 Alberto Sordi recita in Un americano a Roma e nel 1956 Renato Carosone canta Tu vuò fà l’americano. L’American way of life è il sogno di tutti: si ammirano i film americani, il western, Rita Hayworth e poi Liz Taylor e la mitica Marylin Monroe, ma anche la cucina americana e la gomma da masticare, e via dicendo. I costumi cambiano anche perché la RAI ammicca al pubblico e così, nell’Italia di un ancora imperante clericalismo e di una mentalità spesso bigotta, le gemelle Kessler nei primissimi anni Sessanta mostrano ai telespettatori le loro lunghe gambe: un contrasto stridente con un paese dove tanti maschi sono abituati a vedere ancora le donne vestirsi di scuro, con il capo coperto e, naturalmente, con le gonne ben sotto il ginocchio. Anche a Legnano, dove signore e ragazze entrano rigorosamente coperte in chiesa, magari sfoggiando, al posto del velo, costosi cappellini all’ultima moda. E le buone suore arrivano a strappare l’orlo delle gonnelline delle bambine, per renderle un po’ più lunghe…

Cotonifi cio Cantoni: la tessitura di Legnano

La ‘grande trasformazione’ economica si addensa particolarmente nel quinquennio 1958-1963, gli anni del vero e proprio boom economico. Sono cifre che, oggi, fanno sbalordire l’Italia in permanente stato di recessione o quasi. Infatti, durante gli anni Cinquanta, il tasso medio di crescita annua del PIL è del 5,9% (contro il 4,9% dei Paesi Bassi, il 4,4% della Francia, il 2,6% della Gran Bretagna), mentre nel magico quinquennio resta sempre sopra la soglia del 6%. Settori trainanti dello sviluppo risultano quelli della produzione di automobili, elettrodomestici, mobili, macchine per ufficio. Per limitarsi agli elettrodomestici, nel 1951 l’Italia produce 18.500 frigoriferi all’anno, sei anni più tardi 370.000 e nel 1967 3.200.000 unità, cosa che porta il nostro paese al terzo posto nella produzione mondiale dopo USA e Giappone. Dal canto suo l’Olivetti tra il 1958 e il 1963 quadruplica la propria produzione annua di macchine per scrivere. L’industria automobilistica italiana vive un’ascesa vertiginosa: nel 1950 sono prodotte poco meno di 100.000 autovetture, nel 1955 la cifra è di 230.000, nel 1962 di 877.000 e nel 1963 con un nuovo balzo si raggiunge quota 1.105.000.

Uno degli aspetti più noti di quegli anni è quello costituito dal massiccio movimento migratorio interno. A Legnano, la popolazione passa dai 38.026 residenti del 1951 ai 41.366 del 1961 e soprattutto è dal 1958 che si ha l’incremento più consistente. Peraltro il fenomeno migratorio in città risulta per il momento più contenuto rispetto ad altre realtà urbane del Nord. I nuovi venuti vanno a installarsi nei caseggiati più fatiscenti, trovando davanti a sé un impiego relativamente sicuro, ma anche difficoltà e problemi di ogni genere: mentalità differenti, dialetti incomprensibili l’un l’altro, diffidenze e pregiudizi. Non stupisce se alle elementari le bocciature più frequenti riguardano bambini e bambine nati nelle regioni del Sud, o magari anche nelle zone ancora rurali della Lombardia o del Veneto.

Apparentemente, tutto sembra invariato in città, ma all’inizio degli anni Sessanta i cambiamenti si fanno visibili a tutti. Il volto di Legnano inizia a modificarsi. Nel corso degli anni Cinquanta l’amministrazione comunale di Anacleto Tenconi ha provveduto all’ampliamento di viale Cadorna e di via XX Settembre, alla sistemazione di viale Toselli, oltre che del collegamento alla Gabinella tra le vie Bellingera e Locatelli. Tra il 1955 e il 1956 si copre l’Olona in un tratto centrale e si apre la piazza Carroccio. Tra piazza San Magno e corso Magenta si abbattono le vecchie case e nel 1954 viene inaugurata la Galleria. Resiste ancora, ma per poco, qualche vecchia casa in piazza, dove si trova una gelateria molto frequentata. Sarà presto abbattuta per far posto al centro parrocchiale San Magno. Gelati, coni con la panna montata e la cannella (celebre quelli del Campanoni in via della Vittoria e poi in corso Garibaldi) e cinema sono tra le attrattive del centro di Legnano: ma in piazza ci si va comunque per “fare le vasche” e adocchiare qualche ragazza con cui tentare qualche timido approccio. Anche se, a ogni epoca, non mancano gli zitelloni che proprio non ci riescono…

Il centro di Legnano prima della trasformazione

Nella Legnano di quei decenni esiste poi un altro tipo di folla che, appena può, punta sul centro: sono i bersaglieri e i carristi di stanza nella caserma di viale Cadorna che, al momento della libera uscita, sciamano a frotte in cerca di una qualche distrazione. La presenza dei militari la si nota bene anche il 4 novembre, quando i portoni della caserma si aprono ai civili oppure quando dei carri armati M-47 vengono portati in piazza San Magno, per la gioia dei ragazzini e la curiosità degli adulti.

Il centro cittadino cambia anche perché sta iniziando la crisi irreversibile del settore tessile. Nel 1955 ha definitivamente chiuso la De Angeli Frua, così che tutta l’area compresa tra le vie Lega, Alberto da Giussano, Corso Italia, Concordia e la piazza del Mercato può essere trasformata in area residenziale. Sparirà il tipico vecchio ‘Castellaccio’ e si potrà sollecitare l’orgoglio cittadino costruendo il cosiddetto ‘grattacielo’. Agli inizi del nuovo decennio salta anche la Dell’Acqua: il suo proprietario Felice Riva – che possiede anche il gruppo Cotonificio Valle Susa – diventa il simbolo del giovane dedito alla bella vita, incapace di essere un vero imprenditore e responsabile di fallimenti a catena. In via Gilardelli, all’ingresso del Dell’Acqua, gli operai disperati espongono gli striscioni che contestano i soldi che Riva spende per il Milan, di cui è presidente, e per la sua stella brasiliana José Altafini.

Dal 1965 la città non è più divisa nettamente in due dalla ferrovia: l’apertura del sottopasso tra corso Italia e via Venegoni rende più agevole il passaggio dal centro all’oltrestazione. I legnanesi continuano ad affollare i treni per Milano, alquanto obsoleti e malmessi: ancora negli anni Settanta si salirà sulle ultime pericolose carrozze “centoporte” o ci si siederà su panche di legno badando bene che sotto non ci sia la stufa (il “riscaldeur”) che arroventa tutto. Il treno è però un luogo mirabile di socializzazione: si sale, ci si siede con la consueta combriccola e si tira fuori il mazzo di carte per tornei interrotti solo dall’arrivo a Porta Garibaldi.

Il Liceo di Legnano all’angolo tra la via Verri e via Bissolati

Si modifica anche il patrimonio dell’edilizia scolastica. Nel 1958, nello stesso giorno 1° maggio, vengono inaugurati sia la nuova sede del Bernocchi sia il complesso delle scuole medie intitolato a Bonvesin de la Riva. Per quest’ultimo si sacrifica il piccolo Parco delle Rimembranze, che negli anni Trenta era stato realizzato bonificando l’area dell’antico cimitero della città, a fianco del santuario della Madonna delle Grazie. Quanto al caro Liceo, finalmente reso autonomo rispetto alla “casa madre” del Vittorio Veneto di Milano, nel 1956 può finalmente abbandonare la precaria sistemazione nella sede del Dell’Acqua e portare insegnanti e studenti nella ex casa di salute “Salus”, all’angolo tra le vie Verri e Bissolati. Sembra un grande passo avanti, anche se la soluzione mostra già tanti limiti. Ma quell’edificio scomodo e poco funzionale rimarrà per generazioni di liceali un vero e proprio tempio della memoria, teatro di successi e di sconfitte, di goliardate e di innamoramenti.

Oltre il centro e i quartieri operai, però, Legnano è pur sempre immersa nel verde. Boschetti di robinie, prati, persino campi coltivati a grano, tutti attraversati da una ragnatela di sentierini in terra battuta, caratterizzano il paesaggio comunale oltre la chiesetta di S. Martino e la via Montebello, oppure oltre la Mater Orphanorum in via Menotti. La Canazza è un luogo verde, così come le aree a sud della via Milano: la via Monte Nevoso, la via Gorizia, per non parlare del Toselli, sembrano arterie rurale più che urbane.

Il rock, la minigonna, la contestazione

Già sul finire degli anni Cinquanta i giovani iniziano a mostrare forme di insofferenza verso il mondo dei genitori e dei nonni. Dall’America arriva la moda musicale del rock ‘n roll, mentre dalla Gran Bretagna qualcuno importa l’atteggiamento provocatorio dei teddy boys. Gli educatori si interrogano sui nuovi giovani, che a molti appaiono privi di ideali, dimentichi della storia e per di più rivolti a destra. Ma nell’estate del 1960 sono proprio i giovani a insorgere contro il tentativo di sdoganare i neofascisti del MSI, accettati come stampella per il governo democristiano monocolore di Tambroni. Anche il PCI rimane spiazzato dalla sorpresa. Nel giro di pochi anni tutto si radicalizza a una velocità che appare vertiginosa.

La musica degli anni ‘60

I giovani ascoltano una musica tutta diversa da quella sentita finora. Dalla Gran Bretagna arrivano i Beatles e i Rolling Stones, capintesta di una lunghissima schiera di complessi dominati dalla chitarra elettrica. Portano i capelli lunghi, vestono in modo eccentrico, scandalizzano i benpensanti. Da noi è Adriano Celentano che lancia la sua versione casereccia del rock, ma presto si aggiungono i Rokes, l’Equipe 84, i Camaleonti, i Dik-Dik, i Giganti, i Corvi e via dicendo. Alla radio i giovani ascoltano Hit Parade di Lelio Luttazzi e, soprattutto, Bandiera Gialla condotta da Gianni Boncompagni. Tutto appare dissacrante, dalle melodie alle parole, che rimandano agli ideali pacifisti, alla contestazione della guerra nel Vietnam, al rifiuto del perbenismo ipocrita e borghese, all’amore più o meno libero… Nel 1965 Francesco Guccini scrive Dio è morto, che diviene celebre nell’interpretazione dei Nomadi e perché la RAI, al contrario di Radio vaticana, si rifiuta di metterla in onda, giudicandola blasfema.

La nuova musica è accompagnata da un nuovo gergo, ennesima sfida contro i “matusa” (da Matusalemme) del mondo adulto. E da un nuovo modo di acconciarsi: tutti indossano i jeans; i maschi buttano giacca e cravatta, si fanno crescere i capelli, e poi lunghe basette, baffi, barbe più o meno decenti; le femmine rifiutano le caste camicette e i golfini della nonna e, peggio, scoprono sempre di più le gambe, belle o brutte che siano. Già, perché d’oltre Manica è arrivata un’altra moda, la più scandalosa: la minigonna. Non bastasse tutto ciò, i giovani degli anni Sessanta scoprono il sesso: non che i più anziani fossero proprio sprovveduti al riguardo, certo che no. Ma adesso se ne vuole parlare apertamente. Basta con i giri di parole degli adulti, incapaci di pronunciare ogni parola che in modo diretto o indiretto faccia riferimento alla sessualità e alle sue conseguenze (anche la parola “incinta” è a lungo bandita). La RAI è maestra di comicità involontaria nel redigere complicati dizionari delle parole non dicibili in trasmissione. Giornali e magistratura, dunque, si scatenano nel 1966 quando scoppia a Milano lo scandalo della «Zanzara», il giornalino del Liceo Parini, che ha osato raccogliere e pubblicare le opinioni delle studentesse in tema di rapporti sessuali e di anticoncezionali.

I fratelli Robert, Edward e John Fitzgerald Kennedy

Molto si sta muovendo anche negli atteggiamenti politici. Agli inizi del decennio uno dei miti più diffusi è quello di John Fitzgerald Kennedy, il telegenico presidente americano, che sembra (ma solo sembra) protagonista di una stupenda fiaba familiare; lo sostituiscono il fratello Robert Francis Kennedy (“Bob”) e il grande leader nero Martin Luther King, entrambi uccisi nel 1968. Abbigliamento indecente, linguaggio sboccato (sono i tempi nei quali viene anche sdoganata la parola “casino”, che per gli adulti mantiene tutt’altro, impronunciabile, significato), promiscuità, atteggiamenti politici “estremisti”: ce n’è abbastanza per scandalizzare i benpensanti. Proprio loro, però, devono ricredersi nel 1966, quando i “capelloni” di mezzo mondo corrono a Firenze per salvare dal fango le opere d’arte e il patrimonio librario della Biblioteca Nazionale. È forse la prima massiccia mobilitazione di volontariato giovanile, seguita due anni dopo – su scala minore – da quella in favore delle popolazioni della valle Mosso nel Biellese, anch’essa colpita da una grave esondazione dei corsi d’acqua. Anche dal Liceo legnanese un gruppo di ragazzi va a dare una mano.

Il Sessantotto è ormai alle porte. Un anno mitico, in tutti i sensi, tanto per coloro che lo esaltano quanto per coloro che vi fanno risalire le cause di tutti i mali successivi. Ma non è solo un anno: è un’intera epoca e del resto le occupazioni delle università italiane sono già in atto prima di quell’anno. I fermenti rivoluzionari raggiungono anche Legnano, ma molto meno il Liceo rispetto alle altre scuole superiori della città. Certo, le discussioni sono vivaci, le assemblee si fanno, le proposte più diverse vengono avanzate, ma si è complessivamente lontani dal clima che agita gli istituti di Milano. La classe docente possiede punte di eccellenza, a cominciare dal preside di fama internazionale, Augusto Marinoni; tra i professori ci sono personaggi destinati a diventare professori universitari, da Adriano Bausola (futuro rettore della Cattolica) e Giovanni Reale, famoso cultore della filosofia classica, a Guido Oldrini, poi ordinario nell’ateneo di Bologna: tutti filosofi. Per non parlare della “terribile” Nella Dodero, autrice di testi di matematica e prossima preside o di Enrico Giranzani (deceduto in servizio nel 1965) un grande propulsore di iniziative.

Il clima ha un che di goliardico: Gaspare Murari è un professore di scienze e di chimica fuori dell’ordinario, anche per le sue estemporanee esternazioni; il citato Oldrini – di cui è nota la militanza comunista – proprio nel 1968 si ritrova regolarmente sul parabrezza della sua Cinquecento un minaccioso foglietto firmato “Bolscevik”. Tutto può finire con una risata, ancora, mentre gli intervalli dei liceali sono caratterizzati dalla coda per acquistare dal Calini (Anacleto Calini, il bidello più anziano) i suoi panini col salame: gli si contesta che si tratta di due fettine sottolissime, che spariscono all’interno della michetta, ma la fame delle undici è tale che i panini vanno a ruba. Il ciclostile è un oggetto da cui non si può prescindere. Il rullo inchiostrato che produce a piacere copie del testo scritto sull’apposita matrice è onnipresente. Lo usano tanti liceali recandosi nell’abitazione dell’insegnante di religione don Antonio Brunello. Lo si usa negli oratori e nelle parrocchie, ma esso è presente anche nelle sedi dei giovani contestatori: in ogni momento si sfornano volantini, denunce pubbliche, giornalini, appelli alla mobilitazione. Per la verità, finisce che in un gran numero di casi sono le studentesse a essere addette a questo lavoro, mentre i loro colleghi maschi si prendono la leadership del movimento. Le mentalità faticano ad aggiornarsi. L’anno dopo la storia d’Italia cambia radicalmente: il 12 dicembre 1969 l’attentato di Piazza Fontana inaugura la strategia della tensione e gli anni di piombo.

La P38, l’austerity, la radio libera

La bomba che esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano toglie definitivamente l’innocenza agli italiani. Iniziano gli anni di piombo, ma inizia anche l’epoca del sospetto, delle doppie o triple verità, della paura. Alla strage di Milano i neofascisti fanno seguire quelle di Peteano, della Questura di Milano, di Piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus, cui si aggiungono i vari attentati compiuti in connessione con la rivolta di Reggio Calabria; si susseguono intanto le voci e i tentativi reali per attuare anche in Italia un colpo di stato, come nella Grecia dei colonnelli. Trame misteriose agitano il sonno delle persone più consapevoli. Sul fronte opposto si organizzano i primi nuclei armati, sorti nel magma del movimento del Sessantotto e alimentati proprio dalla pericolosità dell’eversione di destra. I successi propagandistici delle neonate Brigate Rosse conducono a un salto di qualità del terrorismo rosso: dopo il rapimento del giudice Sossi nel 1974 è un susseguirsi di “gambizzazioni”, sequestri, omicidi. Fino al culmine traumatico del rapimento di Aldo Moro il 16 marzo e al suo assassinio il 9 maggio 1978. Complessivamente, per l’intero periodo che si estende dal 1969 al 1988, l’Italia paga un prezzo altissimo al terrorismo di ogni colore: 176 uccisi in attentati individuali, 135 per stragi, 41 in occasione di scontri di piazza, oltre a 58 morti a causa dei due attacchi di terroristi palestinesi all’aeroporto di Fiumicino (17 dicembre 1973 e 27 dicembre 1985).

Ma questi anni tremendi sono contrassegnati pure dalla violenza delle rapine (che trova subito eco nella lunga serie di film usciti alla metà del decennio: Milano violenta, Roma violenta, Roma a mano armata, Il trucido e lo sbirro…) e, ancor più, dai sequestri di persona a scopo di estorsione. Dal 1972 al 1989 si registrano ben 593 rapimenti, con una vertiginosa crescita di casi attorno alla metà del decennio Settanta, oltre che con un significativo allargamento geografico. Il fenomeno, infatti, fino ad allora circoscritto alla Sardegna, si diffonde su tutto il territorio nazionale anche ad opera di elementi della criminalità sarda (poi anche di quella calabrese) emigrati in regioni ricche come la Toscana e la Lombardia. Complessivamente si registrano crescenti ‘record’ in materia: 40 sequestri nel 1974, 62 nel 1975, 47 nel 1976, 75 nel 1977. L’«industria dei rapimenti» indigna e terrorizza anche per le efferatezze compiute dai rapitori, come nel caso di Cristina Mazzotti, una diciottenne di Erba rapita nel giugno 1975, tenuta segregata per alcuni giorni e infine uccisa: il suo corpo viene poi trovato in una discarica.

Una classe di Liceali

Legnano è risparmiata direttamente dallo spargimento di sangue, ma i legnanesi leggono e ascoltano attoniti le notizie che circolano. Ogni giorno si accende la radio o la tv con un orrendo interrogativo: “Chi avranno ammazzato oggi?”. Milano, del resto, è la meta quotidiana di tanti di loro, per lavoro o per studio. E a Milano gli scontri di piazza sono ormai un’abitudine, così come gli attentati e si muore, dall’una e dall’altra parte. Il movimento del Settantasette pone alla ribalta altre legittime attese dei giovani più disagiati, ma costituisce pure un serbatoio per un’eversione che continua a svilupparsi. Sono gli anni di piombo, gli anni che trovano il loro simbolo nella pistola P38.

La paura e lo sbigottimento provocati dal terrorismo incidono a fondo nel corpo della società italiana. Ma ci sono altri motivi che contribuiscono a rendere tanto tragico il decennio Settanta. Esistono anzitutto le difficoltà economiche, con un’inflazione a doppia cifra che nessuno riesce a fermare. Tra il 1974 e il 1980 l’Italia si caratterizza per il più alto livello di inflazione tra i paesi europei (oltre il 20%), e per i tassi più elevati di disoccupazione e di disavanzo pubblico. Le politiche restrittive introdotte per contenere l’inflazione portano a una caduta degli investimenti e alla conseguente sofferenza delle imprese. Dal 1960 al 1983 la spesa pubblica passa dal 31,2% al 62,5% del PIL. La copertura non viene attuata usando la leva fiscale, bensì incrementando il deficit pubblico: il governo italiano inizia in tal modo l’infausta prassi di indebitarsi contraendo prestiti sul mercato internazionale, mentre non si ha il coraggio di rendere più equo il prelievo fiscale, combattendo la piaga dell’evasione.

Le crisi internazionali fanno il resto: le difficoltà economiche degli USA alle prese con gli effetti della guerra del Vietnam, le guerre in Medio Oriente del 1967 e del 1973, la rivoluzione di Khomeini in Iran nel 1979… Due “choc” petroliferi si abbattono sulle traballanti casse statali dell’Occidente. In Italia – nell’inverno 1973-74 – si cerca di correre ai ripari, introducendo misure drastiche per limitare i consumi privati e il ricorso alla materia prima del petrolio. Le domeniche a piedi, la chiusura anticipata dei cinema e dei teatri, oltre che dei programmi televisivi serali, l’abolizione delle luminarie natalizie… danno il segno di questi anni. Ma dura poco. Nel giro di breve tempo l’assestarsi dei prezzi, l’abitudine, la paura di decidere, l’ancora carentissima sensibilità ambientale contribuiscono a far sì che tutto torni come prima o quasi. Però qualcosa si è spezzato nel profondo del cuore: l’ottimismo e la fiducia nel futuro, che hanno dominato fino alla metà degli anni Sessanta, sembrano adesso lontani anni luce.

Ciò non toglie che la società continui nel suo incessante moto di trasformazione. Il terreno dei mass media è sempre più fertile. A partire dal 1970 circa si comincia a poter comprare il televisore a colori, pur se le trasmissioni regolari della RAI a colori iniziano solo nel 1975. È una rivoluzione che entusiasma, anche se la resa sugli schermi lascia a desiderare. Del tutto inattesa è invece la diffusione delle radio ‘libere’ locali, accompagnata dai primi esperimenti di TV libere, inizialmente solo con la trasmissione via cavo (dal 1971). Le leggi appaiono inadeguate e arretrate di fronte all’evoluzione tecnologica, mentre il sogno di una democrazia pluralistica nell’etere è destinata a scontrarsi presto con la durezza della realtà e quindi del prepotere dei grandi capitali. A Legnano lo sviluppo delle emittenti locali risale alla seconda metà del decennio e ai primi anni Ottanta: in città o nei comuni limitrofi nascono Radio Legnano Wonderful Music, Radio Cooperativa, Radio Carroccio, Top 3001, Radio Olona Popolare, Radio Mi Amigo, Delta international. Ci sono poi le emittenti promosse negli ambienti parrocchiali: da Radio Esagono (San Paolo, Legnano) a Radio Punto (San Vittore Olona). Nel 1977 viene invece fondata AntennaTre che per un decennio riesce a imporsi come rete innovativa e di successo specie nel campo degli spettacoli leggeri. Si diffonde intanto inarrestabile un altro aggeggio utile per ascoltare ovunque le canzoni preferite: la musicassetta, resa ancor più comoda dalla messa in commercio del Walkman della Sony (1979).

Il cambiamento dei gusti si verifica in tanti altri settori: nella stampa rivolta al pubblico giovane, nel 1972 chiude i battenti il «Corriere dei Piccoli», il cui caratteristico stile è ormai inadeguato ai tempi; già sei anni prima ha chiuso l’altrettanto mitico «Il Vittorioso». Regge invece «Topolino» con le sue testate parallele, totalmente dedicate ai personaggi disneyani, grazie anche allo sviluppo di una straordinaria scuola di sceneggiatori e disegnatori italiani, in primis Romano Scarpa. Nuovi fumetti e nuovi eroi – sulla carta o nei “cartoni” proposti dalla tv – conquistano il primato: i Puffi, Heidi, l’Ape Maia… attraggono i più piccoli tra la fine degli anni Settanta e Ottanta; per i più grandi (ma ogni limite d’età, in queste cose, è vietato) ci sono invece Asterix e Lucky Luke, oltre agli italianissimi Alan Ford e Tex Willer, più giovane il primo, già illustre il secondo.

Gli anni Settanta, in ogni caso, sono felici per il Liceo. Da tempo la vecchia sede nella ex “Salus” non è più sufficiente, tanto che si usa persino lo scantinato per alloggiarvi delle classi. Via via ci si rivolge per trovare ospitalità a enti esterni, come l’oratorio di san Magno o la palestra di via Milano. Ma nell’ottobre 1970, dopo trattative non semplici determinate dalla particolare natura del Liceo legnanese, si può prendere possesso del nuovo edificio di via Gorizia.

Il Mundial, la Barbie, le merendine

Madrid, Stadio Bernabeu, sera dell’11 luglio 1982. L’Italia del ct Bearzot domina per 3-1 la Germania e diventa campione del mondo. Ci fosse già internet, l’urlo di Tardelli dopo il gol del 2-0 diventerebbe virale. È la conclusione di una meravigliosa fiaba, iniziata nel peggiore dei modi, tra pessimo gioco, risultati striminziti, critiche feroci e silenzio stampa. Si accende però la luce di Paolo “Pablito” Rossi e la nazionale cambia vita, imponendosi all’Argentina e, incredibilmente, al Brasile con un palpitante 3-2. Scavalcato in scioltezza l’ostacolo polacco, è la finale. Non vi vuole mancare il presidente Sandro Pertini, che incarna ormai la parte del nonno rassicurante (e talvolta anche irascibile) di tutti gli italiani. L’entusiasmo travolge tutto. Anche a Legnano. Le vie del centro e la piazza San Magno sono invase da migliaia di persone ed è una festa di popolo. Ci sono gli anziani, ci sono le famiglie con i bambini piccoli. Chi fa il bagno nella fontana della piazza, chi sventola il tricolore dall’alto di un cassone di camion. A metà del corso Italia è steso un enorme striscione verde-bianco-rosso, che viene sollevato in aria per farvi transitare sotto le auto. In via Micca le vecchiette tirano fuori di casa le sedie e si sistemano sul marciapiede per godersi lo spettacolo degli strombazzanti cortei. Sembra quasi di rivivere (con le dovute proporzioni) le giornate dell’aprile 1945. Senza violenza, però.

Una pubblicità diventata il simbolo di un’epoca

Perché tutto questo? Inconsciamente gli italiani capiscono che gli anni di piombo stanno finendo, che le Brigate Rosse e i loro epigoni sono stati sconfitti e che anche la strategia della tensione fascista e golpista è passata. Adesso ci vuole un po’ di serenità, un po’ di allegria. Iniziano gli anni segnati dal celeberrimo spot della “Milano da bere”, quello che Marco Mignani inventa per l’Amaro Ramazzotti: la metropoli è descritta come una città che «rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore; Milano è positiva, ottimista, efficiente; Milano è da vivere, sognare e godere», concludendo che è una «Milano da bere». Qualche anno dopo il fenomeno appare diffuso sul territorio: nell’inchiesta pubblicata da «Polis» nel novembre 1994 Legnano viene descritta come la “città dei balocchi”, perché capace di attrarre giovani da un ampio territorio circostante, grazie alla presenza di locali di ogni tipo, di birrerie, di ben cinque discoteche. Alle “vasche” tradizionali a piedi per il centro si aggiunge adesso l’abitudine di percorrere le vie più affollate in auto, ripetutamente. Corso Italia diventa sede di ingorghi permanenti.

La nazione vuole adesso presentare il volto patinato del successo, il marchio del made in Italy che si afferma in tutto il mondo. I prodotti italiani conquistano i mercati internazionali a suon di piastrelle, vasellami, mobili, forniture per uffici, automobili. L’alta moda e il prêt-à-porter invadono le vetrine delle capitali estere, imponendo uno stile che fa tendenza. Si afferma una nuova borghesia decisa a scalare le gerarchie sociali, ostentando ricchezza e successo. La corsa allo status symbol diventa frenetica: i «nuovi arrivati», sparsi durante l’anno nell’Italia delle «cento città», si danno appuntamento in estate sulla Costa Smeralda e in inverno a Cortina. L’esibizione, più che il consolidamento, pare la molla di questo irrefrenabile moto. In realtà le disuguaglianze sociali rimangono alte. La Commissione di indagine sulla povertà, istituita nel 1984 presso la presidenza del Consiglio dei ministri, stima in 2.114.000 famiglie, per un totale di 6.237.900 persone, l’area del disagio di chi ha un livello di consumo inferiore o nettamente inferiore rispetto a quanto può essere ritenuto accettabile in una società moderna.

Il cambiamento socio-culturale fa da sfondo a significativi mutamenti politici: dopo più di trent’anni la DC deve cedere la poltrona di Palazzo Chigi, prima al repubblicano Spadolini, poi al socialista Bettino Craxi, che punta a issarsi sulle spalle dei due tradizionali giganti, la DC e il PCI. Il linguaggio della politica comincia a cambiare, gli eccessi aumentano, gli scontri verbali sono furibondi. Attorno al nuovo PSI si raggruppano ideali e interessi, ma anche – come si dice – «nani e ballerine». Tra i nuovi, potenti, ministri c’è chi si fa fotografare in discoteca, cancellando in un sol colpo l’immagine compassata del democristiano inginocchiato in chiesa. Non c’è da illudersi, va da sè, che la vita prosegua finalmente in pace. Da un decennio si trascina infatti il caso del tanto discusso finanziere Michele Sindona: l’11 luglio 1979 l’integerrimo avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata di Sindona, viene assassinato da un killer che risulta essere stato assoldato proprio dal finanziere; il 22 marzo 1986, dopo un’incredibile serie di vicende giudiziarie e non, lo stesso Sindona è trovato morto nella cella del supercarcere di Voghera dopo avere bevuto un caffè ‘corretto’ al cianuro. Nel frattempo, il 18 giugno 1982, è stato rinvenuto a Londra il cadavere di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, implicato in gravissime vicende di speculazioni e reati finanziari. Tutte queste vicende sono collegate a un altro scandalo di quei tempi, ovvero l’attività della loggia massonica P2, guidata da Licio Gelli e protagonista di infiltrazioni nelle istituzioni dello Stato e nel sistema dei media con progetti dichiaratamente golpisti e autoritari.

Paninari anni ‘80

Comunque sia, nella società si parla di “riflusso” e di ritorno al privato, dopo oltre un decennio di intense passioni politiche. Le piazze piene, i cortei, gli slogan… tutto appare lontano. Così anche le mobilitazioni studentesche e operaie. E così l’impegno per le grandi battaglie civili (come nel caso del referendum sul divorzio del 1974) o per i diritti e la parità effettiva delle donne, pur se le proteste delle femministe si prolungano nel tempo. Per tanti giovani conta di più l’attesa della serata in discoteca, dopo che nel 1978 John Travolta è stato protagonista nel film La febbre del sabato sera: il travoltismo dilaga in Italia e i locali notturni si moltiplicano, attirando sempre più persone. Sociologia ed educatori si interrogano su questo stile di vita che sembra volto soltanto al disimpegno. Altri fanno invece i conti con il parallelo fenomeno degli yuppie (Young Urban Professional), che ostentano uno stile di vita basato sul successo, sulla ricchezza e su consumi esclusivi. Ancora più vistoso è il fenomeno dei paninari, che sono contemporaneamente effetto e causa di una rinnovata spinta ai consumi. Diventa imperativo calzare le Timberland, indossare i jeans Levi’s, i piumini della Moncler, le felpe della Best Company; per le ragazze vanno di moda le borse laccate e gli indumenti della Naj Oleari. Si ascoltano i Duran Duran o gli Spandau Ballet e si pranza nei nuovi templi della ristorazione rapida, come McDonald’s, il cui primo locale apre in piazza di Spagna a Roma nel 1986. Spuntano presto come funghi anche i Burghy, i Wendy’s, i Burger King.

Ma sono decine i prodotti che la pubblicità lancia o rilancia, rendendoli onnipresenti nella vita di giovani e di adulti. Le bambine e le ragazze continuano a sognare di possedere tutte le Barbie possibili ed immaginabili, o anche la bambola Cuore Caldo della GIG, tutta morbida e dotata di un piccolo giradischi in zona pancia, dove mettere degli appositi dischetti colorati per farla parlare. Ma possono divertire anche i pupazzi Popples. I maschi sono entusiasti per i protagonisti della serie dei Masters of the Universe, anch’essa della Mattel: se li trovano ovunque (nei fumetti, nei film, come giocattoli) e si immedesimano in He-Man, l’eroe difensore del castello di Grayskull e di Eternia, contro cui vanamente combatte l’eterno nemico Skeletor. Le vecchie automobiline cominciano a diventare un oggetto di collezionismo per gli adulti, perché la nuova generazione preferisce le hot wheels o i transformers. Non c’è distinzione di genere, invece, nei consumi alimentari. Gli anni Ottanta consacrano definitivamente le merendine del Mulino Bianco (della Barilla), che nel 1983 si arricchiscono con le Sorpresine, ideate da Graziella Carbone: una scatolina simile a quella dei fiammiferi contiene la sorpresa e un piccolo foglietto-guida con le istruzioni, visto che si possono trovare giochi, indovinelli, origami e soprattutto le gommine a forma di biscotto. E poi c’è la valigetta del Maxi Sorpresiere, per conservare le scatoline collezionate. Da tempo hanno successo i Kinder sorpresa della Ferrero, che esistono già dal 1974, così come la Nutella, il cui marchio risale al 1963. Diffuso è pure il consumo del Nesquik, anche grazie alla sua mascotte Quicky Bunny. Tra gli oggetti di uso comune che si impongono stanno, per i ragazzi, gli zaini scuola, il cui mercato è dominato dalla Invicta. Vanno in soffitta definitivamente le vecchie cartelle, da tenere con la mano o da mettere in spalla. Molti si mettono poi al polso uno dei tanti modelli di orologi Swatch, nati in Svizzera dall’intuizione di Nicolas Hayek nel 1983: bisogna infatti reagire alla straripante concorrenza giapponese, lanciando sul mercato un prodotto di qualità che sia tuttavia a buon mercato, disponibile in tanti colori e forme e che richiami i grandissimi marchi della tradizione elvetica.

Le tv private e il nuovo modo di fare televisione

Questi e mille altri oggetti del consumo e della moda trovano reciproca convenienza nell’appoggiarsi alle nuove televisioni commerciali, che stanno lanciando una sfida all’ultimo sangue al monopolio della RAI. Protagonista assoluto è un tale Silvio Berlusconi, il quale, dopo aver lanciato nel 1974 Telemilano, sei anni dopo la collega ad altre 23 emittenti per trasmettere Sogni nel cassetto, un quiz condotto da Mike Bongiorno, ponendo così le premesse per l’avvio delle trasmissioni di Canale 5. Nel 1983 l’imprenditore milanese acquista Italia 1 da Edilio Rusconi e l’anno successivo assorbe Retequattro dalla Mondadori. Si apre una contesa che condiziona per anni la vita pubblica italiana, con i suoi pesanti intrecci con il dibattito politico e con gli interessi finanziari. Quel che conta qui è notare che, sulla spinta della concorrenza, il consumo televisivo degli italiani aumenta a ritmo incessante, sostenuto da una programmazione cresciuta di sei volte dal 1976 al 1986, che occupa ormai ogni fascia oraria della giornata: gli spot pubblicitari la fanno da padrone, tanto che si calcola che nel solo 1987 ne siano trasmessi 300.000. Hanno successo nuovi programmi: il 1° settembre 1980 debutta su Raitre Il Processo del lunedì di Aldo Biscardi, che impone un nuovo stile ai dibattiti (o alle chiacchiere?) sul calcio; dal 1983 al 1988 Italia1 spopola con Drive In di Antonio Ricci, diventando un’autentica palestra di nuovi comici. Sullo stesso canale, l’anno dopo, inizia la sua fortunata storia anche Striscia la notizia. Trasmissioni del genere lanciano la figura della “velina”, così che diventerà sempre più difficile spiegare agli studenti che la “velina” un tempo era la disposizione quotidiana riservata dal fascismo ai direttori dei quotidiani, oltre che un tipo sottilissimo di carta.

Il mondo della comunicazione e dello spettacolo non si limita a questo. La fruizione da parte degli spettatori e in generale degli utenti sta radicalmente cambiando. Gli anni Ottanta sono infatti il decennio d’oro delle videocassette VHS, che permettono di aggiungere al televisore anche il videoregistratore. I vecchi filmini casalinghi in Super 8 con cui si consacravano le feste di famiglia, le giornate in spiaggia o le gite fuori porta vengono soppiantati da videocamere che registrano direttamente sulla cassetta. JVC, Basf, Panasonic la fanno da padrone. Un’altra rivoluzione è però alle porte: nel 1982 sono commercializzati i primi CD, che in breve tempo (e fino alla riscoperta odierna) mettono fuori mercato i vecchi dischi neri in vinile. Resistono di più le audiocassette, specialmente nel pubblico giovanile abituato a sentir musica con il walkman. Il destino è però segnato: il mondo digitale è alle porte.

Un decennio tanto ricco di cambiamenti riserva altre – e in tal caso drammatiche – sorprese. Nel 1983 sono accertate le prime morti per Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS): il virus HIV spaventa in tutto il mondo e si aprono discussioni e polemiche su come fermarlo, tirando in ballo le colpe della libertà sessuale e gli inevitabili castighi divini. Il 26 aprile 1986 una serie di guasti a uno dei reattori della centrale nucleare di Cernobyl’ in Unione Sovietica provoca la fuoruscita di una nube radioattiva che si diffonde rapidamente in Europa, arrivando anche in Italia. Dopo l’incertezza iniziale sulle misure da adottare, il governo decreta la proibizione della vendita di verdura fresca e la somministrazione di latte a gestanti e bambini. Un senso di panico si diffonde tra la popolazione, che corre ad accaparrarsi generi alimentari. Dopo Cernobyl’ il modo di percepire e valutare l’intera questione ambientale cambia radicalmente in Italia, assumendo una connotazione di massa.

Uno dei simboli di Legnano

A Legnano questi segnali di cambiamento si mescolano con le specifiche questioni locali. Il futuro della centralissima area Cantoni costituisce il clou del dibattito politico e alimenta contrapposte passioni; la Franco Tosi, al centro di una contesa tra Ansaldo a ABB, è definitivamente in crisi e Legnano rischia non solo di perdere la sua “mamma”, ma pure di riscoprirsi città de-industrializzata. Intanto stanno prendendo una propria definita identità i nuovi quartieri periferici, che reclamano più attenzione e più servizi, anche perché godono cattiva fama nel resto della città. Dopo la zona della Ponzella, tocca adesso a quelle della Canazza e della Mazzafame, un tempo conosciute solo per le omonime cascine, le attività agricole e, semmai, le vicende della lotta resistenziale. Le case popolari, i grandi insediamenti abitativi devono però essere completati da ben altro: negozi, farmacie, uffici pubblici, scuole materne, nuove chiese e parrocchie. La dilatazione della città si inserisce nel cerchio di un’altra epocale trasformazione, che ha visto a lungo protagonisti i comuni circostanti: già a partire dagli anni Sessanta e Settanta e poi in misura sempre più rapida, infatti, attorno a Legnano si stende una cintura di grandi supermercati, con marchi noti che spaziano dalla Standa (Maxi o Iper che sia) all’Esselunga, via via fino alla più recente Auchan. I legnanesi tendono così a superare i confini comunali per far la spesa in modo più conveniente e comodo (così almeno si dice). La conseguenza è che cominciano ad andare in crisi i tanti negozietti sparsi per tutte le vie della città: complici il passare degli anni e il ricambio generazionale, chiudono esercizi divenuti cari ai clienti e luoghi di chiacchiere, di commenti, di scambi di notizie. A poco a poco spariscono i droghieri, i fruttivendoli… ma anche i negozi di elettrodomestici o le librerie: tra queste quella del Nando Bizzari, un piccoletto che si muove in un buco di negozio, all’angolo tra corso Garibaldi e via Verdi, strabordante di libri. È da lui che si riforniscono generazioni di studenti, lettori comuni o appassionati delle collane che diffondono la cultura, come i minuscoli libriccini grigi della BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli.

Il personal computer, Tangentopoli, il “vu’cumprà”

Nel frattempo, a cavallo tra il decennio Ottanta e quello Novanta, nelle case degli italiani e quindi anche dei legnanesi giunge un nuovo e alquanto ingombrante oggetto che costringe a ridisegnare i soggiorni, i tavoli o le scrivanie: il personal computer. Per quanto il computer sia da tempo usato per scopi militari o nei laboratori scientifici, adesso è diverso: esso diventa un oggetto per (quasi) tutti. Dopo l’esordio della famiglia dei Commodore, i modelli che si vanno a comprare sono degli 8086, dal nome del microprocessore Intel che li equipaggia. Per utilizzarli, bisogna seguire delle procedure particolari: inserire il floppy da 5 ¼ (flessibili, neri, giganteschi rispetto a quel che verrà dopo) e lanciare il DOS, utilizzando le apposite stringhe di comando; poi si inserisce un altro floppy con il programma, tipo Writing Assistant; infine il floppy su cui salvare quel che si sta scrivendo. Non c’è scheda grafica, lo schermo è inesorabilmente nero e al massimo si può decidere se lavorare con caratteri bianchi o verdi.

Commodore 64, per molti il primo computer

La stampante è rumorosamente ad aghi. Sembra però una novità incredibile, che si mostra agli amici con lo stesso orgoglio con cui un tempo si mostrava il televisore, per segnalare la modernità della propria casa. La velocità del cambiamento è sempre più veloce: non si fa a tempo ad abituarsi, che arriva il 286, poi il 386, il 486, il Pentium… I floppy da 5 ¼ son presto obsoleti e si passa a quelli più piccoli, solidi e spesso coloratissimi da 3 ½, mentre le stampanti ad aghi vengono rimpiazzate da quelle a getto d’inchiostro. I prezzi scendono e consentono di ampliare la platea degli utilizzatori della nuova meraviglia. Ovviamente si fa presto a compiere anche il passo successivo: introdurre schede grafiche sempre più perfezionate che consentono di godere del pc non solo per il lavoro o per i conti di casa, ma anche per il gioco e per le immagini.

Del resto è già in grande forma la giapponese Nintendo, che dal 1989 commercializza il Game Boy (dal 1996 con i Pokémon). Nel 1994 la Sony risponde con la Play Station. Il mondo si riempie rapidamente di videogiochi, slot machine elettroniche, simulatori di guida e di volo, giochi di combattimenti, con un realismo sempre più accentuato. Nascono nuove passioni e bisogna imparare a districarsi tra RAM, ROM, scheda madre, e via dicendo, per non parlare delle infinite discussioni su quale sia il sistema operativo migliore. Soprattutto, però, un’evoluzione del genere prefigura nuove professioni e crescenti applicazioni. Tutto corre: nel 1991 presso il CERN di Ginevra viene messo a punto il protocollo HyperText Transfer Protocol (http), che consente la lettura ipertestuale; nello stesso anno e nella stessa sede, viene reso pubblico il primo sito web del mondo. In entrambi i casi il protagonista dell’innovazione è il britannico Timothy John Berners-Lee. Nel giro di pochi anni, internet è al centro della vita quotidiana di centinaia di milioni di uomini e donne. Proliferano i negozi di vendita e assistenza per i computer, i provider, i tecnici e gli esperti fai-da-te.

Mentre una tale colossale rivoluzione è alle porte, la politica italiana langue, per non dir di peggio. Il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 sembra aprire le porte a un’epoca di pace e di prosperità: una pia illusione che ignora cosa sia la storia e cosa sia la geopolitica. C’è anche chi farnetica addirittura di “fine della storia”. Più prosaiche e concrete sono le conseguenze sull’Italia, che cessa di essere terreno strategico per i due blocchi e diventa solo una qualunque periferia. I partiti tradizionali scricchiolano subito. Da qualche anno, del resto, si sta registrando l’ascesa di leghe e di movimenti localistici. Le difficoltà economiche, che il brillio degli anni Ottanta non ha superato, bensì aggravato, fanno il resto. Le elezioni del 1992 sono un primo terremoto, cui si accompagna il progredire delle inchieste sulla corruzione politica. “Mani pulite” e “Tangentopoli” sono definizioni che diventano popolarissime, in un susseguirsi di colpi di scena e di frettolosità giustizialiste a cui partecipano più o meno tutti, compresi quelli che nel giro di pochi anni si schiereranno su posizioni opposte. Nel giro di breve tempo tutti gli attori politici tradizionali sono buttati fuori di scena oppure si trasformano e si “riciclano”. A livello nazionale le nuove elezioni del 1994 danno il potere a Berlusconi. A Legnano le amministrative del 1990 e poi quelle decisive del 1993 segnano l’ascesa prima e il trionfo poi della Lega Nord.

La transizione politica viene accompagnata dalla recrudescenza della violenza mafiosa. Dopo una lunga serie di agguati e uccisioni (1982: il prefetto di Palermo generale Carlo Alberto Dalla Chiesa) arrivano i clamorosi attentati del 23 maggio 1992, ai danni del magistrato Giovanni Falcone, e del 19 luglio successivo, per uccidere il suo collega e amico Paolo Borsellino. È in pieno svolgimento la sanguinaria strategia imposta da Totò Riina, che lascia una scia di altri attentati e di altri morti, da Firenze e Roma a Milano.

La società italiana, intanto, segue altre vie, inventa percorsi nuovi e affronta inedite sfide. Tra gli anni Ottanta e Novanta – in parallelo con il crescente distacco dai partiti e dalla politica – tantissimi scoprono il volontariato, cogliendo l’importanza e – perché no? – la bellezza di operare disinteressatamente per una causa nobile (o ritenuta tale). I dati del tempo ci ricordano che l’incidenza delle persone iscritte a una associazione a carattere sociale sul totale della popolazione passa dal 18,9% del 1985 al 23,2% del 1994, coinvolgendo così oltre nove milioni di italiani compresi tra i 18 e 74 anni. Sono questi gli anni in cui, accanto a associazioni radicate da tempo (dall’AVIS al Touring Club, dalle associazioni d’arma agli scout, giusto per citare a casaccio realtà tanto diverse tra loro), sorge una miriade di iniziative, alcune delle quali destinate a diventare di assoluta rilevanza. Si cominciano così a conoscere figure come don Luigi Ciotti o Gino Strada, ci si impegna sui fronti più diversi, in favore di tossicodipendenti, carcerati, prostitute, emarginati di ogni genere…, ma anche sui temi ambientali, la salvaguardia della natura, la custodia e valorizzazione del patrimonio artistico. Dalle varie comunità di recupero alle associazioni che sostengono la ricerca scientifica sulle più gravi malattie, dal WWF al FAI e via dicendo: è un’altra Italia che si muove e che attira pure le energie di tanti giovani e adolescenti.

La caduta del muro di Berlino

Un mutamento ancora più epocale sta però sconvolgendo la composizione della popolazione italiana. Mentre i più comuni tassi di riferimento (la natalità, la nuzialità) mostrano un’evoluzione largamente negativa, al contrario di quello relativo alla mortalità che conferma l’innalzamento della speranza di vita a livelli mai visti, si consolida un’ondata migratoria che via via riguarda tutti i continenti e quasi tutti i paesi, dall’America latina all’Africa, all’Asia. Ciò che più colpisce l’opinione pubblica, tuttavia, è quel che avviene nell’estate del 1991, quando migliaia di albanesi cercano un’ancora di salvezza nel nostro paese, ispirando in seguito le scene tanto drammatiche del film di Gianni Amelio, Lamerica. Il crollo del muro di Berlino e dei regimi comunisti dell’Est apre quindi un altro percorso migratorio. Secondo le stime più attendibili, alla fine del 1994 gli immigrati provenienti da paesi poveri del Terzo Mondo sono poco più di 700.000, di cui circa 300.000 irregolari. Ma agli inizi del nuovo secolo il numero complessivo di immigrati arriva già a sfiorare la quota di 1.500.000. Inizialmente questo fenomeno offre elementi di curiosità, soprattutto osservando dei giovanissimi africani che vendono accendini, cinture e bigiotteria nei parcheggi o nei luoghi di maggior afflusso pedonale, oppure percorrono d’estate le spiagge per piazzare salviette o borse, parlando un improbabile italiano che li fa subito ribattezzare con il nomignolo di “vu’ cumprà”.

A Legnano nel giugno 1991 arrivano sei giovani albanesi, ospitati dal Comune all’albergo Roma e sostenuti soprattutto dalla Caritas e dalla parrocchia di San Domenico. Quest’ultima si rende protagonista di molte iniziative in materia. Nasce la Scuola di Babele, per insegnare l’italiano, mentre si fa più visibile la presenza in città di giovani africani. Tiene però banco la tragedia della Bosnia, dove tra 1992 e 1995 si combatte una guerra di tutti contro tutti e si concretizza una spaventosa “pulizia etnica” che colpisce soprattutto la comunità musulmana. Legnano entra drammaticamente nelle cronache nazionali il 18 marzo 2000, quando un devastante incendio si sviluppa in un capannone dell’ex Cotonificio Cantoni, in pieno centro, provocando la morte di 5 persone di origine macedone, tra cui 2 bambini e una donna incinta. È la conferma del degrado crescente nel quale sono costretti a sopravvivere gli immigrati in cerca di miglior fortuna. Già però si polemizza sul tipo di accoglienza da attuare (o da non attuare) e ci si interroga sulla presenza di forme di razzismo nella società italiana. Nel 1991 un’inchiesta condotta tra gli studenti delle scuole superiori dell’Alto Milanese e pubblicata dalla rivista «Ulisse», rileva che il 53,6% dei giovani legnanesi guarda la televisione da 2 a 4 ore al giorno. Partiti, burocrazia e governo si contendono il primato della sfiducia. Anzi, a Legnano i politici capeggiano la classifica dei più antipatici, battendo nell’ordine gli zingari, le femministe, i drogati, i meridionali e gli arabi: una classifica su cui si riflette poco. La Lega fa il pieno delle simpatie e delle attese, ma di fronte alla questione degli immigrati, i ragazzi sono disposti ad accogliere i nuovi venuti, seppur entro un sistema regolato e controllato (75%).

Non sfuggono a queste indagini statistiche i ragazzi e le ragazze del Liceo. Per loro arrivano in quegli anni alcune importanti novità: nel 1988 è ultimata la costruzione di un nuovo corpo dell’edificio di via Gorizia, mentre vengono sistemati meglio i vari laboratori; nel 1990 c’è il passaggio di consegne alla presidenza da Nella Dodero a Giuseppe Conte; nel 1994 si festeggiano i cinquant’anni dello Scientifico; nel 1996 si presenta il libro che ne racconta la storia; in contemporanea nasce l’associazione Liceali Sempre.

Erasmus, il kebab, lo smartphone

Il nuovo secolo – anzi, il nuovo millennio! – si apre con consistenti speranze, in un’Italia dominata da Berlusconi e dai suoi duelli con Prodi, mentre l’Europa sembra ricomporsi cominciando a respirare con i suoi due polmoni (definizione di Giovanni Paolo II), quello occidentale e quello orientale. Soprattutto a Est le illusioni si sprecano, così come ci si illude che il passaggio alla moneta unica corrisponda a un’epoca di benessere generalizzato. In realtà la nuova epoca nasce l’11 settembre 2001, sotto il segno spaventoso dell’attacco alle Twin Towers di New York. Il terrorismo – che si ammanta di giustificazioni pseudo-religiose – diventa una presenza fissa in un pianeta ormai globalizzato, nel quale ciò che succede in una qualsiasi parte ha immediati effetti ovunque. Nell’ondata mai veramente interrotta di terrore, questa volta, anche Legnano è colpita: va dunque tenuto nella memoria il volto sereno di Bruno Gulotta, ucciso nella strage di Barcellona del 17 agosto 2017.

11 settembre 2001, il mondo cambia

Per un motivo o per l’altro, la guerra irrompe da ogni parte negli schermi televisivi, con il suo carico di responsabilità, di sofferenze, di indifferenze. Paesi lontani affollano la mente: Afghanistan, Iraq, Siria, le primavere arabe, il Congo, l’Africa subsahariana, la Libia… Si discute di globalizzazione e tutto sembra andare in quella direzione. Una direzione inevitabile, che suscita reazioni (qualcuno comincerà a chiamarle sovraniste) destinate però a essere perdenti nel medio-lungo periodo. Ma i contraccolpi negativi sono evidenti e comprendono l’invasione di prodotti a basso prezzo, dovuti a condizioni di lavoro inaccettabili per la coscienza europea; la conseguente scelta di “delocalizzare” e quindi di sacrificare posti di lavoro in Italia; la messa in mora di una specifica identità nazionale (sempre necessaria); la tentazione della chiusura in un proprio immaginario castello; le ondate migratorie di massa che sono frutto della miseria e delle guerre, ma anche della consapevolezza che altrove si sta e si può stare meglio.

La globalizzazione è anche aumento delle possibilità di spostamento per altri motivi: l’uso sistematico dell’informatica e la nascita di nuove aggressive compagnie aeree fanno sì che tantissimi italiani – e legnanesi – possano programmare una vacanza sul Mar Rosso, alle Maldive, alle Seychelles o ai Caraibi, tutti luoghi che entrano nell’immaginario collettivo, anche perché sostenuti da un’incessante presenza negli spot pubblicitari o nei film di evasione. Si punta con attenzione all’offerta last minute. D’altro canto l’Italia, malgrado una più che zoppicante politica di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico, rimane una delle mete preferite per tanti stranieri. La mobilità internazionale si giova anche dei nuovi strumenti messi a disposizione dall’Unione Europea. Nasce quella che i sociologi iniziano a definire come la “generazione Erasmus”, dal nome del programma che consente di frequentare corsi universitari e di sostenere i relativi esami all’estero. Diventa usuale avere a lezione studenti di ogni parte d’Europa, così come vedere ragazzi e ragazze italiane partire per Barcellona o York, Heidelberg o Helsinki. Anche le scuole superiori incrementano gli scambi e i soggiorni di studio con le istituzioni estere sorelle. La scomparsa della “cortina di ferro” che divideva in due l’Europa rende agevole visitare anche Varsavia o Praga, Budapest o Bucarest: un fatto che per i genitori o i nonni dei giovani odierni era del tutto inusuale. Non stupisce così trovarsi di fronte a un crescente numero di coppie miste, con affetti, relazioni e matrimoni caratterizzati dalle più diverse combinazioni di nazionalità.

Gallerie Cantoni, uno dei simboli della nuova Legnano

La miscela delle genti e delle lingue si ripercuote nei gusti alimentari e nei consumi. Da un lato, diventa normale acquistare nei supermercati mele del Cile, agrumi di Israele o gamberetti del Vietnam, dall’altro si verifica un vero boom della cucina etnica. Tra i giovani spopola il kebab, che va ad affiancare la pizza nei localini gestiti da extra-comunitari, diventando un pranzo rapido e gustoso; furoreggia anche la gastronomia dell’Estremo Oriente, con il sushi che pretende un posto d’onore. Ovviamente, i più consapevoli scoprono presto le magagne della globalizzazione in cucina. La reazione si concretizza sia nelle proposte di “slow food”, sia in quelle dei prodotti “a chilometri zero”, che insistono sul recupero dell’agricoltura vicino a casa, anche al fine di ridurre la necessità di costosi e inquinanti trasporti.

Globalizzazione implica la crescente omologazione dei consumi e dei gusti. Chi percorre le vie centrali di una qualsiasi città europea (ed extra-europea) trova ormai le stesse vetrine, con gli stessi marchi e con gli stessi prodotti: spesso in franchising, questi negozi vendono articoli di vestiario, di pelletteria, calzature, orologi o gioielli… laddove la differenza è data dalla notorietà, dai prezzi e dalla location. Il “Quadrilatero della Moda” di Milano è un esempio del livello più alto. Nel suo piccolo, Legnano offre le scintillanti vetrine di corso Italia o corso Garibaldi. I gusti si uniformano pure nella fruizione letteraria e di evasione. Basti pensare al successo planetario dei romanzi di Harry Potter, creati dalla fantasia di J.K. Rowling e apparsi con regolarità dal 1997 al 2007, mentre la parimenti fortunata serie di trasposizioni cinematografiche inizia nel 2001. O si pensi all’ormai lunga storia di Star Wars, con tutte le sue ricadute in termini di merchandising.

Il simbolo per eccellenza della nuova era, però, è indiscutibilmente lo smartphone. I telefoni cellulari, i telefonini o i cellulari, come li si chiama più semplicemente, sono già presenti dalla metà degli anni Novanta, grazie al protagonismo di marchi globali quali Motorola, Nokia, Blackberry e via dicendo. Ma tutto cambia con il rapidissimo e continuo ricambio di prodotti: nel 2007 Apple lancia l’iPhone e apre la strada allo smartphone dei nostri giorni (in parallelo va lo sviluppo, in un campo adiacente, dei portatili e dei tablet). Oggetti sempre più piccoli e leggeri consentono un uso variegato: non solo per telefonare, ma anche per chattare o messaggiare (come si dice con pessimi neologismi), e poi ancora giocare, fotografare, prendere appunti, memorizzare appuntamenti, fino a ricorrere alle più svariate applicazioni, le “app”, per collegarsi alla propria banca, prenotare viaggi e voli, leggere cartelli e spiegazioni turistiche e chi più ne ha più ne metta. Il divertimento e la comodità dell’uso devono però iniziare a fare i conti con l’immagazzinamento di miliardi di dati personali, così che si avvicina pericolosamente il fantasma del “grande fratello” che sa tutto di tutti. Le conseguenze sociali e culturali sono infatti enormi e nessuno è ancora in grado di coglierne con esattezza i contorni.

Già, perché per (quasi) tutti lo smartphone diventa una protesi, un’estensione del proprio corpo o, se si preferisce, una parzialissima anticipazione del mondo di domani dominato dall’intelligenza artificiale. Lo scoprono subito i docenti, dalle elementari alle superiori, così che si discute su come affrontare (vietare? valorizzare?) il nuovo strumento; lo scoprono i genitori, che per lo più si adeguano e anzi cercano di imitare i figli; lo scoprono le forze dell’ordine e la magistratura, ai quali lo smartphone offre spesso prove schiaccianti di un reato, anche a causa della sciagurata moda dell’esibizionismo e dell’autorealizzazione di un evento, che arriva fino all’orrore di filmare uno stupro o un atto teppistico. Lo smartphone domina ovunque: nei treni da Legnano a Milano – ancora fonte di innumerevoli e giustificate lamentele dei pendolari – non si gioca più a briscola o a scopa e neppure si legge il giornale, perché si è impegnati a conversare, chattare, giocare. Indifferenti ai vicini, (quasi) tutti discutono di lavoro, di cause legali, di privati litigi, delle prossime vacanze…

La combinazione di strumenti elettronici modifica radicalmente le modalità della comunicazione. Basti pensare all’esorbitante numero di edicole che, una dopo l’altra, chiudono i battenti perché impossibilitate a reggere. Anche il panorama legnanese ne risente: dal Sempione a via Milano, a via Rossini spariscono esercizi ai quali si era da tempo abituati. Naturalmente la politica si adegua: resistono i talk show televisivi, anche per il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi si adeguano a uno stile urlato, all’interruzione maleducata, all’insulto se non al pugilato in diretta. Il dibattito politico tende ad assomigliare sempre più allo scontro tra tifoserie calcistiche e la cronaca quotidiana ne conferma la crescente simbiosi. La disponibilità di strumenti quali Facebook, Twitter, Instagram e così via modifica non soltanto la vita personale, ma trasforma anche il privato in pubblico, come ben sanno i politici più abili nell’usare queste modalità di comunicazione. È una singolare – e rovesciata – trasformazione rispetto alle parole d’ordine lanciate dal Sessantotto.

L’autore Giorgio Vecchio e i suoi compagni di classe

Del nuovo mondo la società legnanese condivide i vantaggi e i problemi. I legnanesi non sfuggono all’omologazione dei costumi e delle mentalità, si dividono sugli scottanti problemi relativi alla sicurezza e alle politiche sull’immigrazione, si mantengono complessivamente su elevati standard di vita, pur se gravi sacche di povertà continuano a esistere e semmai ad espandersi. Del resto la crisi del tessuto industriale non ha conosciuto soste, come testimonia l’alternarsi di notizie su ciò che resta della Franco Tosi o la chiusura della Manifattura. Nel nuovo secolo i cittadini di Legnano si confrontano inoltre sulla qualità estetica e sull’efficacia pratica delle novità urbanistiche introdotte: anzitutto la definitiva sistemazione dell’area lasciata vuota dalla Cantoni, con la creazione di insediamenti residenziali, l’apertura di una nuova sede Esselunga e delle nuove vie intitolate a Felice Musazzi e Talisio Tirinnanzi; poi il rifacimento della piazza San Magno, con lo spostamento di fronte al cimitero della Fontana dei Caduti (2006); infine il nuovo ospedale, inaugurato all’estrema periferia della città nel 2010. Affollano il rinnovato Teatro comunale, ora intitolato a Tirinnanzi, riaperto nel 2016. E, naturalmente, continuano ad appassionarsi per il Palio e per la vita delle otto contrade.

Nota bibliografica

Questo mio scritto non ha alcuna intenzione di essere esaustivo. Troppi sono gli aspetti da considerare in uno spazio limitato. Lettrici e lettori potranno dunque dilettarsi nel verificare quanto è stato dimenticato o sottovalutato. In ogni caso credo ci siano notizie e riflessioni sufficienti sia per i più anziani, per farsi prendere un poco dalla nostalgia, sia per i più giovani, per avviare magari qualche ricerca e qualche studio personale. Per una ricostruzione più distesa di questi decenni, sul piano nazionale e su quello locale, mi permetto di rinviare a: G. Vecchio – P. Trionfini, Storia dell’Italia repubblicana (1946-2014), Monduzzi Editoriale, Milano, 2014; G. Vecchio – G. Borsa, Legnano 1945-2000. Il tempo delle trasformazioni, Nomos Edizioni – APIL, Legnano, 2001. Per quanto riguarda la specifica storia del Liceo, è inevitabile il rinvio a: Il Liceo di Legnano: 50 anni di storia, a cura di G. Conte e A. Airoldi, Liceo G. Galilei, Legnano, 1995. Da non trascurare anche l’altro libro: 30º anniversario della fondazione del Liceo Classico di Legnano, Rotary Club Busto-Gallarate-Legnano, 1990.